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Torino : Einaudi, 2008
Abstract: Keith Ncudecker lavora come analista finanziario nelle Twin Towers e sopravvive al crollo di una delle due. Si ritrova per strada coperto di cenere, vetro e sangue, in mano stringe una valigetta non sua. Scioccato, si fa portare a casa della moglie lianne, dalla quale si era separato da oltre un anno, Keìth e Lianne cercano di riavvicinarsi, con loro c'è il figlio justin, che passa le giornate scrutando il cielo con un cannocchiale alla ricerca di altri aerei mandati da Bill Lawton (è cosi che con i suoi amici justin storpia il nome di bin Laden). Dal contenuto della valigetta Keith risale a Florence, un'altra sopravvissuta, una donna che inizia a frequentare all'insaputa della moglie ? una relazione, anche sessuale, retta sul trauma che lì accomuna. Nella seconda parte compare Nina, la madre di lianne. Da dopo il suicidio del marito sta con Martin, un uomo ambiguo che ha vissuto tra gli Stati Uniti e l'Europa: un miscredente, un occidentale, un bianco, ma forse anche un terrorista. Tre anni dopo, il tentativo dì ricostruire la famiglia è fallito: Keith trascorre lunghi periodi in viaggio - da Parigi a Las Vegas - immerso nei tornei di poker, assorbito in una vita che lo riduce quasi una cosa; Lianne aiuta con corsi di scrittura creativa anziani affetti dall'Alzheimer e si è avvicinata alla religione cattolica. Le loro vite in transizione sono intersecate daH'«uomo che cade», un performer che sì lancia in caduta statica da vari punti della città, assumendo le posizioni di un uomo che si era buttato da una delle Torri prima del crollo: «a testa in giù, con le braccia tese lungo i fianchi, un ginocchio sollevato»... Un'ulteriore prova dello straordinario talento di DeLillo. Un romanzo che ritrae, grazie al catalizzatore dell'11 settembre, il volto smarrito dell'America del nuovo secolo.
29 ottobre 2008 alle 09:01
L’UOMO CHE CADE
di Don DeLillo
Einaudi, 2008
Ciascuna delle tre (ma vedremo poi che in realtà sono sei) parti in cui si divide la narrazione de “L’uomo che cade” è intitolata ad un nome di persona.
Ma i titoli, anziché orientare il lettore, lo spiazzano: per buona parte della lettura ai nomi evocati non sarà possibile collegare nessun personaggio del libro. Si tratta di false piste: i nomi sono in effetti storpiati e resi irriconoscibili, o sono nomi segreti e nascosti, o ignoti a lungo agli stessi personaggi.
Lo stesso titolo del romanzo può avere almeno tre interpretazioni (e la triplicità torna in molti aspetti del romanzo), essendo legittimamente riferibile sia al protagonista che sembra cadere nel gorgo di una crisi inarrestabile, che agli uomini che tutti - in immagini agghiaccianti - abbiamo visto precipitare dall’alto del World Trade Center in fiamme, che infine ad un misterioso performer che in luoghi pubblici della città rimette in scena ossessivamente e silenziosamente il terribile trauma collettivo.
Siamo dentro e all’indomani dell’11 settembre 2001, e la dimensione psicologica dell’America (ma in generale del mondo che si riconosce nel sistema occidentale, e in particolare degli abitanti di N.Y.) è disorientata e sconvolta. L’unica realtà pensabile è inconcepibile, l’unica realtà tangibile, impressa negli occhi, nelle orecchie, nel naso, nella bocca, sulla pelle di chi l’ha vissuta, è inaccettabile come un incubo che non ci si riesce a scrollare di dosso.
Perché l’11 settembre ci sono stati “gli aeroplani”, e, dopo, nulla può più essere lo stesso, nemmeno alzare gli occhi verso il cielo.
Keith, il protagonista maschile, è uno dei sopravissuti. Ha sentito l’impatto degli aerei che si schiantavano contro le torri mentre lui c’era dentro, ha raccolto tra le braccia un amico morente, ha sceso le interminabili scale della torre destinata a crollare. E’ tornato a casa. Ma il suo è un ritorno apparente. Dall’epicentro del trauma, Keith inizia una deriva che lo porterà sempre più lontano, come seguendo onde concentriche che si allontanano dal punto d’impatto; prima oltre il parco, dove vive un’altra sopravissuta, con cui condividere lontano dalla famiglia un’esperienza talmente aliena da essere inenarrabile e incofessabile, poi nell’atmosfera artificiale delle sale da gioco, lontano dalla città e dalla Storia, alla ricerca di una dimensione dell’esistenza in cui l’assurdità del caso e del destino possa venire imbrigliata nell’accettabile imprevedibilità del meccanismo ludico dell’azzardo consapevole.
Ma se il percorso di Keith, nella dimensione del “dopo” è centrifugo, di allontanamento e perdita, a questo se ne contrappone un altro di segno opposto, nella dimensione del “prima”, scandito da altre tre parti del libro che si alternano a quelle cui abbiamo già accennato. Scandito da nomi di luoghi che segnalano un progressivo avvicinamento (dalla Germania alla Florida al cielo sopra New York), è il percorso centripeto di un giovane terrorista, riflesso speculare di Keith: tanto ciecamente orientato all’obiettivo della distruzione e del martirio quanto Keith è disorientato; animato dal fanatismo religioso mentre Keith vive in un mondo senza Dio; diffidente nei confronti del sesso che vede come una pericolosa distrazione mentre per Keith è il momentaneo sollievo ad una solitudine intollerabile. Le due esistenze sono destinate ad avvicinarsi in un vero e proprio punto di fusione, il momento in cui l’aereo con il terrorista a bordo si schianta contro la torre e Keith deve riprendere la propria discesa, al termine della quale l’avevamo trovato nell’incipit del libro, permettendo a DeLillo di chiudere con un’apparente circolarità un anello di Moebius che attraversa. lo spazio e il tempo.
Nelle parti dedicate a Keith, un ruolo forse ancora più predominante occupa la figura di sua moglie Lianne, attorniata da diverse figure collaterali, aprendo lo spazio narrativo ad una molteplicità di figure e di voci, e ad un accenno di riflessione anche politica in un romanzo dove a prevalere è decisamente la dimensione esistenziale e psicologica.
Lo stile di De Lillo, ellittico e insieme preciso come un bisturi, è magistrale, quanto di meglio si possa pretendere ad un autore contemporaneo, con pezzi di bravura davvero ammirevoli. Ma se tema, struttura, scrittura, capacità di indagine psicologica sono di prim’ordine, motivi per una lettura irrinunciabile, qualche dubbio sorge proprio sulla necessità di certe divagazioni, o figure secondarie; dove a volte sembra smarrirsi quell’urgenza e quella necessità a loro volta intimamente necessarie ad un libro che tratta un tema così straziante per tutta la coscienza e l’immaginario dell’Occidente.
Mauro Caron
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