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Milano : Anabasi, 1994
Abstract: La signora Moskovitch e Paula la smemorata, il pittore Dagan e Fichman il pazzo sono alcuni tra i protagonisti di questo romanzo, tutti anziani ospiti di una casa di cura nei pressi di Tel Aviv. Qui, tra i corridoi e le camere, si rispecchiano con grande potenza i disagi e le paure di persone vecchie e malate, abbandonate alla propria solitudine, alla mercé di qualunque sfruttatore, costrette a una nervosa attesa dell'ultima chiamata. Il tempo è dilatato in uno spazio infinito di ricordi e di rimorsi, i rapporti umani segnati dalla condizione insostenibile di non essere più indipendenti, i desideri personali relegati a particolari insignificanti, ultimi simbolici resti di vite ormai spese. Voci di muto amore è un affresco portentoso della vecchiaia, una descrizione lucida e sconvolgente di uomini e donne schiacciati dall'insostenibile peso degli anni. E, al tempo stesso, è una forte denuncia di una società indifferente ed egoista, ormai priva del sentimento della compassione.
25 marzo 2023 alle 18:46
Ed è subito sera.
Nel reparto di lunga degenza di una casa di cura israeliana si accavallano pigramente le esistenze al crepuscolo di un manipolo di anziane e anziani, malati, deperiti, al tramonto della propria vita. Su tutti spiccano Jolanda Moskovitch, che rifiuta categoricamente l'avanzare degli anni, coprendo le rughe con spessi strati di trucco e destinando gran parte del proprio tempo a preoccuparsi per lo stato dell'acconciatura; Allegra, la sua vicina di letto e amica-nemica, sempre più fragile e debole; Frida, ricca e prepotente - ma prigioniera tra le mura dell'ospedale - che i parenti vanno a trovare quasi ogni giorno per alleviare il senso di colpa di non volerla tra i piedi a casa; Kagan, pittore con una ferita alla gamba che non vuole saperne di rimarginarsi, perché la guarigione è ostacolata dalla sua propensione alla bottiglia, e FIchmann, senza gambe, che diventa la sua ombra e suo complice... Al microcosmo dei pazienti si affianca e compenetra quello di infermiere e infermieri: Rosa detta "Satana", Leon, Rafi l'arabo con un fratello con un deficit mentale di cui prendersi cura, in una costante altalena di favori, gentilezze, ripicche, meschinerie, dissapori, malelingue che lasciano un grande senso di tristezza e malinconia. La storia segue da vicino la signora Moskovitch e sotto il suo sguardo semplice sfila tutta una serie di invidui difficilmente inquadrabili, proprio perché filtrati dalla sua percezione. Capita quindi di formarsi un'opinione di un personaggio che viene completamente stravolta dopo poche pagine, per poi tornare all'impressione iniziale, in un costante girotondo di sensazioni transitorie e deduzioni incerte che finiscono per togliere qualunque credibilità a ogni personaggio e destabilizzare il lettore. Non si può tuttavia portare rancore all'anziana protagonista, partecipi come si è del suo quotidiano e delle sue disavventure, dei suoi alti e bassi mentali ed emotivi. Si è letteralmente calati nel suo universo personale e, dunque, inevitabilmente si finisce per empatizzare, cercare di comprendere e scusare molti dei suoi atteggiamenti e viaggi mentali. In questo è di aiuto l'assenza di capitoli definiti, così che sembri tutto un unico, continuo, incessante, monotono trascorrere inesorabile del tempo in ospedale, che porta chi legge a condividere lo strenuo desiderio di Jolanda di tornare a casa, per non dover più guardare in faccia la realtà delle proprie e altrui condizioni. Per non dover essere più costretti a guardarsi allo specchio e scoprire un viso estraneo che ci fissa di rimando...
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